Quote rosa e comunicazione

Capita, più spesso di quanto non si pensi, che un’idea cretina abbia fortuna, grazie ad una definizione o ad un claim azzeccato. E’ il caso delle cosiddette “Quote rosa”…

La mia è certamente un’affermazione forte, ma, signore mie, prima di cadere vittime di un travaso di bile, lasciatemi chiarire che non nutro nessun dubbio sulle capacità delle donne di farsi valere nel mondo del business, della politica e, più in generale, in tutti quegli ambiti che implicano o generano posizioni di potere.

Ma io detesto le discriminazioni e considero l’idea di imporre per legge, nei ruoli che contano, un rapporto numerico preordinato tra maschi e femmine, intrinsecamente e fortemente discriminante.

La proposta di adottare le quote è nata – e si sostiene tutt’ora – sulla base di due diverse considerazioni. La prima muove da un’apparentemente asettica valutazione dello status quo: visto che il potere è in larga misura in mano agli uomini, e che costoro tenderanno a non condividerlo mai con le donne in virtù di uno strisciante ma innegabilmente presente spirito di solidarietà maschile – che in molti casi potremmo anche definire complicità maschilista – dobbiamo provvedere a stabilire una condizione di equità.

La seconda, senz’altro più detestabile, ma, ahimè, più diffusa, scaturisce dal permanere, in tutti gli strati della società civile, di un ben radicato pregiudizio di genere: visto che si tratta di soggetti deboli e in qualche modo inferiori e che, pertanto, non riusciranno mai ad imporsi con le loro forze, dobbiamo dare loro una mano.

Sul fatto che in entrambi i casi si tratti di argomentazioni cretine non credo possano sussistere dubbi. Ma perché mai affronto questo argomento su una testata che si occupa di comunicazione?

E’ semplice: ho dato un’occhiata alla recente ricerca condotta dalla Confartigianato Lombarda che certifica una rimarcabile crescita quantitativa e qualitativa del ruolo delle donne nell’ambito della piccola imprenditoria e mi sono chiesto cosa succede nel nostro comparto. E per sciogliere l’enigma ho svolto una sorta di ricerca “artigianale” su un campione di 100 imprese di comunicazione ed ho constatato che tra titolari, legali rappresentanti ed amministratori delegati le donne arrivano a malapena a sommare una ventina di posizioni di vertice.

Mi sono chiesto allora se questo si debba al fatto che nel nostro ambito professionale il pregiudizio di genere sia ancora fortemente radicato. Al cospetto dell’inevitabile risposta affermativa, mi sono posto un ulteriore quesito: la generale convinzione che il nostro sia un comparto “avanzato”, di quelli che premiano il talento ed il merito, corrisponde alla realtà o costituisce una sorta di leggenda metropolitana che da anni diffondiamo ad arte per sentirci in pace con la nostra coscienza? Vi lascio indovinare quale sia stata la risposta. Io non la rivelerò nemmeno sotto tortura.
 

Lorenzo Strona

strona@lsep.it

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