Bruchi o farfalle?

In relazione all’intervento di Bruno Zerbini dal titolo “Progettare l’antinebbia” apparso su Pubblico Today il 29/10/2012, pubblichiamo il contributo di Carlo Simonetti

 Quando i mulini erano bianchi si andava sulla Luna guidati da un computer che aveva una capacità di calcolo inferiore a quella di un fornetto a microonde. Occupava intere stanze e chissà quant’era costato. Impossibile paragonarlo ad uno smart phone di oggi, farebbe una fi guraccia.

Negli anni ’80 sono stato assunto come art director in un’agenziadi pubblicità di Torino. Alladomanda dell’amministratore delegato se avessi bisogno di qualcosa risposi: “Sì, i Pantone”. “Quali?” mi chiese.

“Tutti, ovviamente”. Il giorno dopo provai un po’ di vergogna per la spesa che gli avevo imposto, ma fi nalmente la mia scrivania sembrava quella di Armando Testa e io mi sentivo felice come un bambino la mattina di Natale.

Oggi con la stessa cifra si può comprare la Creative Suite di Adobe con licenze per almeno tre persone. E nella Creative Suite ci sono sia i pennarelli, sia le squadrette, sia i Letraset con tutti i caratteri del fotocompositore e gli strumenti del fotografo.

Perché sto raccontando questo? Perché ho letto l’articolo di Zerbini, l’ho letto un paio di volte e ho capito di non condivi derlo. Per niente. I giovani sono dipinti in maniera caricaturale, le nuove agenzie, quelle piccole che-si-fanno-un-mazzo-così per ritagliarsi uno spazio e un reddito sono trattate con sarcasmo.

Il web, poi, è addirittura vissuto con fastidio. La conclusione – se ho capito bene – è sperare che i Professionisti della Pubblicità (proprio così, tutto maiuscolo), questi Cavalieri Templari della comunicazione rimasti a fare la guardia a non si sa bene quale Graal, si riuniscano per trovare – loro – “una strategia di uscita dalla crisi”. Crisi? Forse. 

Forse è semplicemente in atto una mutazione genetica di tutto ciò che conosciamo. Un cambiamento di proporzioni viste raramente prima: modi di produzione, mercati, migrazioni, garanzie che si ritenevano immutabili, equilibri, ruoli, linguaggi. Il mondo sta attraversando una mutazione inarrestabile e continua. Indietro non si torna. Il settore della comunicazione non è in crisi, partecipa al cambiamento.

E sta vivendo un momento esaltante: gli strumenti si sono moltiplicati e ci offrono funzioni e possibilità strabilianti. Se prima avevamo a disposizione tanti mezzi di comunicazione quante sono le dita di una mano, oggi non bastano più nemmeno i piedi a tenere il conto.

E non solo, ognuno di questi mezzi è in grado di generarne e farne germinare altri ancora più nuovi e ancora più stimolanti. Chi oggi vede buio totale dovrebbe regolare l’orologio: è l’alba, non il tramonto.

Ricevo ogni giorno i curricula di ragazzi e ragazze meravigliosi che in mezzo alle solite banalità da lettera motivazionale e cv europeo nascondono la malinconia di chi ci prova senza crederci.Mandano il curriculum, ma conoscono già la risposta. Sono tempi duri.È vero. 

Ma è anche vero che quando finalmente qualcuno di loro riesce ad approdare in agenzia è giusto e doveroso dare tutto il sostegno possibile. Questa è la soluzione ai problemi di tutta la categoria: investire sui giovani e investire su quelle che un tempo venivano chiamate le “nuove tecnologie”.

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Non possiamo pensare di affidare il futuro della pubblicità italiana a chi rimpiange i tempi di Carosello. Andare da Milano a New York oggi può costare poche decine di euro, all’Ikea si può arredare una casa con cifre un tempo inimmaginabili, vogliamo prenderne atto?

Vogliamo renderci conto che oggi i product manager, i direttori commerciali, i brand manager delle aziende con cui lavoriamo sono persone giovani, preparate, attivissime e ggiornatissime.

I pubblicitari, i creativi, non sono più i depositari di un sapere sconosciuto e misterioso al confine tra letteratura, pittura, psicologia, marketing e arte tipografica. Ho sentito impiegate amministrative discutere di font e impaginazione con una competenza da fare impallidire un linotipista.

Ci sono responsabili marketing che fanno foto splendide con Instagram e postano ottimi fi lm delle vacanze su YouTube. È ovvio che da noi pretendano sempre di più pagandolo sempre di meno.

È normale, è giusto che sia così. Ma se ancora siamo in grado di produrre idee e se avremo la capacità di ascoltare e lasciare spazio a questi piccoli creativi con piercing e felpe col cappuccio che vivono davanti al monitor ascoltando musica improbabile, forse servirà di più che sperare in un “nuovo modello di comparto, qualificato e autorevole”.

Sono tempi di grandi mutamenti: “ciò che il bruco chiama fine del mondo, per il resto del mondo è una bellissima farfalla”.

Carlo Simonetti

Titolare e direttore creativo del Simonetti Studio, coordinatore del Corso di Pubblicità e docente di Art Direction allo IED di Torino

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