Avatar

In questo tormentato periodo post elettorale anch’io come tanti ho partecipato, moderatamente, al dibattito sui “social media” giungendo alla conclusione che, con buona pace del compianto Marshall McLuhan, non è vero che “il mezzo è messaggio”.

Lo dimostra il fatto che molti dei messaggi postati su Facebook e Twitter sono peggiori dei mezzi che li veicolano. Su questo credo proprio che non ci piova.

Basta leggere con quanta aggressività e rozzezza di linguaggio avviene lo scontro online tra disputanti con differenti opinioni per farci rimpiangere la signorile compostezza delle discussioni tra ubriachi fuori dalle osterie.

E mi spiace dover constatare come il cosiddetto “gentil sesso”, statisticamente minoritario nelle diatribe condizionate dall’abuso di grappa, partecipi con insospettato fervore al massacro dell’intelligenza, del buon gusto e della grammatica.

A titolo esemplificativo riporto alcuni commenti al post di un noto giornalista pubblicato su Facebook lunedì 29 aprile. I brani sono riprodotti testualmente rispettando l’ordine di apparizione. “…chi ha votato per il cambiamento è un rompicoglioni.

E lasciali governare! Che cazzo vuoi?”; “… dico ke fai skifo vaffanculo ke hai rotto i colioni…” …ma vai a farti fottere hai rotto il cazzo con la tua aria da saputello…”; “…basta con le vostre cazzate non se ne può + siete tutti delle merde…”. 

Non ritengo di avere titoli per fare la morale ai miei contemporanei, soprattutto a quelli che si appartano con i loro computer, tablet e smartphone per incarnarsi negli Avatar scelti con lo scopo di rappresentare la propria utenza all’interno delle comunità virtuali.

Azzardare giudizi sui comportamenti di soggetti che hanno deciso di muoversi al di fuori della realtà “reale” cercando di applicare le misure standard dell’analisi antropologica, oltre che improprio mi sembra del tutto inutile.

Quasi come pretendere di applicare il codice di procedura penale per giudicare le malefatte di Gatto Silvestro. Detto questo non posso nascondere il mio disagio nel constatare che, per alcuni individui, la libertà incondizionata di accesso ai nuovi mezzi di comunicazione di massa venga utilizzata come strumento per esprimere il peggio della loro problematica personalità.

Dio mi scampi dalla tentazione di suggerire misure atte a limitare la libertà di pensiero e di parola, ma, se mi è consentito, vorrei proporre ai quattro signori che si sono scontrati su Facebook di mettere da parte i rispettivi Avatar e di incontrarsi “realmente” alla fermata della metropolitana per discutere liberamente utilizzando lo stesso linguaggio che ha caratterizzato i loro post.

Dubito che siano disposti a farlo, ma, se accadesse, sono pronto a scommettere che la discussione finirebbe a randellate con qualcuno costretto a ricorrere alle cure del pronto soccorso.

Bruno Zerbini

bruno@brunozerbini.com  

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